Onorevoli Colleghi! - La legge n. 382 del 1978, meglio nota come «legge dei princìpi», introdusse per la prima volta nell'ordinamento militare la nozione di rappresentanza soggettiva del militare in relazione alla tutela dei propri diritti individuali e collettivi, nonché il principio che anche il militare è titolare di interessi legittimi che non possono ritenersi conclusi nell'ambito del rapporto gerarchicodisciplinare.
      Con l'affermazione di questo principio di democrazia, nasceva all'interno delle Forze armate italiane la «rappresentanza militare», un complesso sistema di organismi elettivi, sostanzialmente articolato su tre livelli, con un sistema elettorale di secondo grado che solo parzialmente garantisce una reale rappresentatività delle istanze e delle aspirazioni del personale militare. Principio fondante della rappresentanza militare è di essere un organismo dell'organizzazione militare, e in quanto tale inserito nel sistema gerarchico-disciplinare. Ne conseguono alcune peculiarità strutturali, talvolta contraddittorie rispetto alla sua natura di organismo rappresentativo. Citiamo, tra quelle più discusse, la presidenza dei consigli della rappresentanza affidata ex jure al membro più alto in grado, l'impossibilità di una comunicazione autonoma con l'esterno dell'organizzazione, la rigida articolazione in comparti di categoria e di ruolo, la conseguente non

 

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corrispondenza tra consistenza della rappresentanza e dimensione della base rappresentata.
      A quasi un quarto di secolo da quella riforma, che fu certamente rivoluzionaria rispetto alle condizioni di allora, il sistema della rappresentanza mostra tutti i suoi limiti.
      Da almeno un decennio questa insufficienza è avvertita, ma le soluzioni prospettate sono state per lo più contraddittorie, nel migliore dei casi, se non addirittura regressive rispetto alla condizione giuridica esistente.
      Tra quanti si sono posti concretamente negli anni più recenti la questione di quali soluzioni proporre per restituire al sistema della rappresentanza militare una reale capacità di interlocuzione sia con la gerarchia che con la base rappresentata, è stato sempre ben presente l'interrogativo sulla natura formale e sostanziale di questo organismo. Il tema di confronto più rilevante è naturalmente relativo alla capacità reale di una struttura interna all'organizzazione militare di esprimere con sufficiente autorevolezza contenuti propri di una dialettica che in altri settori della pubblica amministrazione assume naturalmente anche forme conflittuali proprie della rappresentanza sindacale.
      Si può immaginare l'adozione, anche per le Forze armate, di un sistema di rappresentanza del personale con le forme proprie del sindacato, oppure la speciale natura dello strumento militare preclude questa possibilità? La domanda non è né banale, né è semplice la risposta.
      È ben vero che bisogna distinguere, quando si parla di rappresentanza militare, tra i due comparti in cui sostanzialmente si articola: il comparto sicurezza, al quale appartengono l'Arma dei carabinieri e il Corpo della guardia di finanza, e il comparto difesa, del quale fanno parte le tre Forze armate, compreso il Corpo delle capitanerie di porto la cui natura ibrida non ne rende facile una classificazione.
      Questa distinzione sottolinea la principale contraddizione interna al sistema della rappresentanza militare, e cioè la rilevante differenza di condizione e di rappresentanza esterna che contraddistingue nel nostro Paese le Forze di polizia ad ordinamento civile (Polizia di Stato e Polizia penitenziaria) rispetto a quelle militarmente ordinate (Arma dei carabinieri, Corpo della guardia di finanza e, per alcuni aspetti, Corpo delle capitanerie di porto). Di fatto, cittadini che svolgono sostanzialmente il medesimo servizio di polizia vivono diverse condizioni personali in virtù del permanere, nel nostro Paese, dell'anacronismo rappresentato da corpi di polizia ad ordinamento militare che svolgono tuttavia compiti essenzialmente civili. Ciò è del tutto vero per il Corpo della guardia di finanza, lo è sostanzialmente anche per l'Arma dei carabinieri, i cui compiti residui di polizia militare e di sicurezza riguardano forse meno del 15 per cento della forza organica. Si tratta tuttavia di un tema che esula dall'oggetto di questa proposta di legge, anche se si riferisce a una problematica che dovrà essere affrontata nel breve periodo.
      Nel quarto di secolo di vita della rappresentanza militare sono anche intervenute sostanziali novità per quanto riguarda la struttura del nostro apparato militare, oltre che per le missioni affidategli. La più recente delle riforme, quella relativa alla professionalizzazione delle Forze armate, è anche quella che maggiormente impatta con problematica della rappresentanza del personale.
      In effetti uno degli elementi sui quali era stato fondato il sistema della rappresentanza militare, così come voluto dal legislatore con la legge n. 382 del 1978, era costituito proprio dalla coesistenza all'interno delle Forze armate di un nucleo maggioritario di personale composto dai militari di leva, per i quali doveva essere garantita comunque una forma di espressione delle istanze collettive.
      Con la fine del sistema di reclutamento ibrido e con la completa professionalizzazione delle Forze armate, il problema della rappresentanza militare deve porsi necessariamente in termini diversi.
      Negli ultimi anni si è assistito allo sviluppo di una pletora di associazioni che
 

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a vario titolo si propongono di difendere gli interessi del personale militare. Alcune di queste associazioni dichiarano di contare su parecchie migliaia di aderenti, tutti militari in servizio.
      Nel 1999, la Corte costituzionale, investita del problema della legittimità costituzionale dell'articolo 8 della legge n. 382 del 1978, aveva dichiarato «non incostituzionale» il divieto per i militari di costituire associazioni professionali o sindacali. La stessa Corte, tuttavia, ribadiva nella sua sentenza come dovesse essere il legislatore a definire la disciplina associativa per i militari.
      La richiesta di una diversa possibilità di rappresentanza per i militari in servizio è diventata sempre più forte, in concomitanza del progressivo svuotamento di ruolo dei consigli esistenti, stretti tra insensibilità della linea di comando e ambizioni politiche di alcuni loro membri che hanno talvolta cercato, in tempi recenti, di condizionarne l'attività.
      L'insoddisfazione del personale militare verso un istituto importante ma che mostra evidentemente anche i propri limiti oggettivi, ha portato anche a numerosi pronunciamenti degli stessi organismi rappresentativi, fortemente critici nei confronti di proposte di riforma puramente nominalistiche.
      Si cita, in proposito, la delibera votata da ben 58 COBAR dell'Esercito, riuniti in assemblea dal COIR del Comando delle Forze operative terrestri (categoria B, sottufficiali) il 10 ottobre 2001, con la quale si proponeva una modifica della normativa in essere, nel senso di consentire libertà di associazione dei militari a organizzazioni di carattere sindacale e professionale.
      Analogamente, in occasione della riunione a Roma il 7 e 8 novembre 2001 dei delegati del COCER e dei COIR dell'Esercito (categoria sottufficiali), i delegati avevano espresso una forte critica e manifestato formale sfiducia al COCER per la proposta di riforma delle rappresentanze avanzata dallo stesso, proponendo in alternativa libertà di associazione sindacale.
      Sembrano dunque maturi i tempi per garantire ai militari il diritto di aderire a libere associazioni di carattere sindacale. In tale senso va la nostra proposta di legge, che prevede un doppio sistema di rappresentanza militare, uno libero costituito da organizzazioni sindacali per il personale militare della Difesa, che dovrà garantire sostanzialmente la contrattazione e la difesa degli interessi collettivi dei militari, e un altro, interno alla struttura gerarchica, costituito da un solo livello di rappresentanza eletto con suffragio generale e diretto, su liste, al quale affidare la tutela del personale rispetto a trasferimenti, organizzazione del lavoro, turni, nonché il compito di garantire la protezione degli interessi dei militari impegnati in missioni all'estero.
 

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